Rivista letteraria online

lunedì 3 ottobre 2011

Il sole dei morenti

 Edizioni e/o, 2000

Ultimo romanzo di Jean-Claude Izzo, racconta la storia del barbone Rico che, dopo la morte del proprio migliore amico, se ne va da Parigi per concludere propria vita a Marsiglia. “Se devo crepare, voglio almeno crepare al sole”. Pubblicato appena prima della morte per cancro ai polmoni, Il sole dei morenti è il capolavoro di Izzo.


Ritratto preciso e spietato di un mondo altro, abitato da persone uscite dalla società per le più svariate e insensate ragioni e con la certezza di non poter più rientrare. Rico, come tanti clochard, viene da una vita agiata imperniata su un'armonia che a un certo punto si spezza, trascinandosi nel baratro delle sventure fino alla consapevolezza di aver superato il punto di non ritorno. La moglie che lo lascia, il lavoro che salta, l'alcolismo, la depressione e il ritrovarsi per strada con l'ossessione del dover capire anche quando è troppo tardi, quando ci si è resi conto che non esistono delle ragioni. Il libro insiste nel mostrare l'insensatezza della condizione umana degli emarginati, costantemente in contatto con la società cui appartenevano e da cui dipendono, consci di esserne irrimediabilmente fuori. I sentimenti vengono dilaniati, l'orgoglio s'appella alle ultime energie ma la dignità ne esce sconfitta: “Se non fai l'elemosina, muori, Rico” gli diceva il suo amico Titì. E la morte accompagna fedelmente e incessantemente la narrazione, costeggia l'esistenza degli esclusi, già morti una volta e in attesa di una fine che presto arriverà.
Il freddo è la colonna vertebrale di queste vite, freddo delle notti dell'inverno parigino dal quale Titì si lascia uccidere e da cui Rico fugge, freddo dei sentimenti atrofizzati come i corpi alimentati esclusivamente ad alcolici. Gambe e pensieri vacillanti ricostruire un ricordo diventa per Rico sempre più difficile, faticoso, indesiderabile. Il presente si mescola al passato e i volti si sovrappongono, diventano effigi di valori ultimi cui rimanere fedeli, parole effimere. Il clochard indossa sempre gli stessi vestiti pesanti e si meraviglia delle minigonne che vede in giro, Rico capisce che “è la felicità che tiene caldo”.
La folta schiera degli esclusi proviene da storie completamente diverse e conduce esistenze differenti fra loro, accomunate soltanto dalla consapevolezza dell'impossibilità della redenzione e dall'attesa di qualcosa, che sia vita o morte è indifferente. Chi viene da stati in guerra, chi scappa da una miseria per approdare a un'altra, chi viene dalla ricchezza e chi non ha il coraggio di ricordarselo. Tra di loro si instaurano legami di solidarietà come di sfruttamento e di violenza, e Izzo riesce con le sue descrizioni crude a tratteggiarli con una precisione disarmante.
Il registro cambia con estrema abilità a seconda dello stato mentale del protagonista, delle emozioni che prova, del ritmo degli eventi. L'elemento corporeo è riprodotto magistralmente, l'alcool che scorre nella gola del protagonista appesantisce anche le gambe del lettore e la pulsione sessuale è descritta nei suoi aspetti più bestiali e disperati. Non vengono esposte grandi riflessioni, al contrario col passare del tempo i discorsi inconcludenti di Rico sono la grande maggioranza. È il testo stesso a far immedesimare il lettore nella disperazione.
La morte che deve arrivare è attesa: Izzo mostra come lo stare in vita sia un semplice atto di volontà, l'ultima prerogativa di un uomo distrutto. Sacrificabile, come ogni altra cosa, quando non ne vale più la pena.

Jean Claude Izzo conclude il suo ultimo romanzo poco prima della propria (annunciata e ormai improrogabile) morte. Riesce a scavare il fondo dell'esistenza dell'uomo, a descrivere con precisione il cammino verso la fine con la lucidità che solo la morte imminente poteva dargli. Padrone di uno stile e di un'abilità narrativa eccezionali, già dimostrati nei polizieschi della “Trliogia marsigliese”, conclude la sua carriera e la sua vita con un romanzo di qualità impressionante.

Voto 10


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