Rivista letteraria online

domenica 8 gennaio 2012

La famiglia Winshaw

Jonathan Coe
1997, Feltrinelli

Il titolo doveva essere “What a carve up!”, cioè “Che casino!”, ed alludeva ad un vecchio film inglese la cui particolarità stava nel fatto che il protagonista veniva accompagnato nella trama del romanzo, così come in effetti avviene nel libro. Di fatto “La famiglia Winshaw” è un manuale cult di storia moderna (non troppo romanzata), ma anche una saga di famiglia e un affresco coerente di una particolare situazione storica e sociale; è accompagnato da un intreccio intricatissimo in cui si mescolano thriller e narrativa, passione per il cinema e per la scrittura, registri noir e da romanzo storico, numerose parentesi ironiche sul ruolo dello scrittore e copiosi riferimenti letterari, il tutto premiato come un riuscitissimo esempio di metaletteratura nel castello dei destini incrociati. Molto più che “un casino”. 

E’ ambientato nell’Inghilterra degli anni ’80, e se Coe è salito sulla cattedra per insegnarci storia contemporanea un motivo c’è sicuramente, una morale di fondo che si rivela sempre più prepotente pagina dopo pagina e che è interpretata dalla Famiglia Winshaw stessa. Il protagonista è piuttosto simpatico, mediamente asociale, con relazioni disastrose, una depressione incipiente, ed è uno scrittore. E’ stato incaricato di stendere la biografia della famiglia Winshaw, e così, un po’ per caso, un po’ per destino, incontra i suoi membri:

THOMAS l’economo: la finanza spietata.
HENRY il politico: la politica senza arte né tantomeno parte.
HILARY la giornalista: l’informazione sventrata del suo contenuto.
DOROTHY la maneggiona dell’industria alimentare: la sanità privata efficiente, la sanità pubblica pessima.
RODDY il commerciante d’arte: la cultura come propaganda.
MARK l’industriale: La guerra con l’Iraq ben pasciuto di armi made in Britain. Trasformista e premio alla coerenza - Saddam Hussein chi? Ti sbagli cara, non può essere lo stesso tizio con cui abbiamo bevuto il tè giovedì - .

Come metafora della storia sociale e politica del dopoguerra, il consesso di vermi rapaci che cavalca l’onda del potere e dei soldi, gli Winshaw sono gli uomini qualunque che dicono cose qualunque e non hanno altre capacità se non quella di avvinghiarsi al potere e ciucciarselo con grande abilità tecnica e trasporto lirico. Ciò che riesce difficile è stabilire il confine tra la caricatura e la realtà, il racconto storico e la satira, la famiglia Winshaw e –come non ravvisare un’insolita somiglianza? – una famiglia a caso made in Italy; e in questo Coe ha veramente esibito un grande talento, un sarcasmo da grande scrittore e – diciamolo – una scrittura impeccabile (che puntualmente viene stravolta durante l’arduo, impossibile, processo di traduzione dall’inglese all’italiano).

La trama è, come si diceva, molto più complessa, i personaggi sono tanti, le digressioni altrettante, ed è impossibile sintetizzare il contenuto complessivo senza far crollare l’impalcatura thriller del romanzo. Perciò ci si limita al contenuto emergente senza citare Calvino, Agatha Christie o il fatto che alla fine i cattivi muoiono, dato che questo accade sfortunatamente solo nella fantasia di Coe. Ma non importa, perché la lezione da imparare è un’altra.
Voto: 9

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