Rivista letteraria online

lunedì 12 marzo 2012

Le Benevole

Jonathan Littel
Einaudi, 2006

“È una storia che vi riguarda, vedrete che vi riguarda”.

Maximilien Aue, ex-ufficiale SS fuggito in Francia, racconta la sua terribile biografia il cui obiettivo è dichiarato: scandalizzare il lettore e fargli capire cosa sia stata la vita nella Germania nazista. E, infine, che se fossimo nati lì e in quel momento, avremmo fatto le stesse cose.


Il racconto è un flusso di coscienza, una narrazione precisa e dettagliata intervallata da riflessioni che si convertono in un dialogo col lettore. L'autore è spesso arrogante, sembra crogiolarsi nella miseria in cui è stato trascinato, ti infastidisce. Ma dura poco: appena si ritorna agli eventi, è molto difficile non calarsi nei suoi panni. Chiunque può trovare degli elementi per identificarsi, e lentamente lo scorrere delle pagine fa sì che la Weltanschaung, la visione del mondo che ciascuno ha, cambi. Non si diventa antisemiti leggendo il libro, ma si arriva molto più in là della semplice comprensione del come si siano verificati certi eventi.
Lo spessore, quasi 1000 pagine, dà tutto il tempo per potersi immedesimare. Tuttavia, lo stile non è sempre scorrevole, e molto spesso volutamente. Ci sono parti in cui le elucubrazioni erotiche lasciano il lettore sconcertato, altre semplicemente un po' annoiato. Di certo, l'omosessualità affrontata in questo modo così preciso, intimo e contrastato non può lasciare indifferenti. Allo stesso modo le riflessioni filosofiche e letterarie, spesso per bocca di altri personaggi, sono profonde e intriganti, aprendo le viscere della morale e infilando il coltello dove riesce a fare più male.
È sufficiente leggere l'introduzione, una ventina di pagine, per capire che non si tratterà di un libro qualunque, e che dopo averlo finito non si può tornare a vivere e pensare come prima.

Gli orrori della guerra sono raccontati senza fronzoli, e per le prime 150 pagine mi fermavo ogni venti o trenta per degli attacchi di nausea. Come tiene a sottolineare il protagonista, in guerra non si perde soltanto il diritto di vivere, ma anche (e soprattutto) quello di non uccidere.
Poi la narrazione scorre, la guerra continua e il protagonista, pur senza essere ambizioso, scala le gerarchie naziste ed entra in contatto con numerosi personaggi interessanti. Alcuni probabilmente inventati e stupendi, tutti colti nella loro genialità al servizio di un sistema perverso che condividono solo in parte (esemplare il linguista Voss, che non condivide il concetto di razza, o l'ingegnere costruttore di ponti che viene contrattato per farli saltare in aria durante la ritirata). Altri sono tristemente famosi, e qui la possibilità dell'autore di sbizzarrirsi. Di questi probabilmente Eichmann è quello trattato meglio, forse perché storicamente il più controverso, di certo il protagonista rifiuta l'interpretazione di Harendt che vede nel gerarca la personificazione della “banalità del male”.

Il libro è eccezionale, vastissimo, abbastanza da permettere una comprensione e un'immersione in un mondo diverso, passato, incredibile eppure accaduto. Un mondo composto da uomini come noi, e in cui noi avremmo ignorato le stesse cose, odiato le stesse persone, ammazzato senza pietà migliaia di innocenti e approvato il loro sterminio.

Voto: 9,5

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